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L'ultimo giardino dell'Imperatore


Dall'alto della collina, l'Imperatore assiste alla disfatta del suo esercito.

Da insuperato stratega, più che dalle conseguenze della sconfitta, è turbato dall'esito imprevisto della battaglia.
Entra nella tenda alle sue spalle, osserva il tavolo sul quale è ricreato un modello del campo di battaglia.
Ripete nella sua testa i movimenti delle truppe, come ripassando una poesia mandata a memoria. 
Sa di aver previsto e anticipato ogni mossa nemica, persino le più imprevedibili.
Sa di aver tenuto conto anche degli umori vaghi degli uomini e del caso.
Eppure, ogni sua contromisura si è rivelata fallace: ognuna dimostrando un infinitesimo errore di valutazione.

A ripercorrere l'andamento della battaglia, individua uno ad uno gli anelli ineffabili di quella catena inesorabile di eventi. Riconosce che ognuno è da imputare al precedente, e si impunta nel voler stabilire una causa prima, valutando scenari possibili e risalendo indietro nel tempo alla caccia del suo peccato originale. Avrebbe potuto evitare di nominare generale suo cugino, se non fosse stato per il debito d'onore contratto con la sua famiglia. E quel debito poteva essere evitato, se non avesse dovuto far eliminare il suo sicario migliore, sei anni prima. Forse che alla base della sconfitta d'oggi ci sia la voce soave della cortigiana che ha reso folle il suo uomo migliore, tanti anni fa?

Fuori dalla tenda, soldati d'ogni rango stanno preparandosi all'assalto finale. Il nemico è ai piedi della collina, già si sentono le urla brutali dei fanti avversari. Chiuso nell'angolo della scacchiera, l'Imperatore viaggia febbrilmente col pensiero alle mosse di quella partita durata quanto la sua vita intera. Visualizza eventi alternativi come rami derivati dal tronco di questa, e ad ognuno riconosce di aver già pensato, e di aver fatto l'unica scelta possibile. Vi sono, è vero, delle possibili catene d'eventi in cui non finisce vittima di questa battaglia: in una muore cieco in un'isola la cui riva rocciosa è infestata di granchi; in una il coltello d'un amante lo regala alla morte dopo una serata d'ebbrezza.
In nessuno dei mondi che considera vince tuttavia l'ultima battaglia, la più importante: ed è  costretto a tornare sempre più indietro col pensiero - valutare scelte lontanissime, impercettibilmente legate nel tempo alla sconfitta odierna.

Quando il suo primogenito dal volto insanguinato entra nella tenda per prospettargli la fuga, l'Imperatore lo degna appena d'un gesto di diniego. 
Troppo indietro è nel tempo. Mai prima d'ora s'è spinto tanto nel visualizzare il disegno dei possibili intrecci di scelte e conseguenze della sua vita. Il compito gli richiede uno sforzo sovrumano che solo l'orribile realizzazione della disfatta gli permette. Eppure: ogni volta che riconosce un errore di valutazione o una leggerezza giovanile, scopre d'averci, almeno una volta nella vita, pensato per porci rimedio. 
Sempre nel modo ponderato che lo contraddistingue, sì da estinguere ogni possibile conseguenza negativa. L'Imperatore è insuperato stratega. Tutto ciò che ha fatto è corretto, frutto di accurata analisi della situazione: la sua scelta è sempre stata la migliore possibile.

Da un tipo di lama al modo di socchiudere gli occhi al sole, dalle parole sgarbate a una concubina petulante all'esaltazione feroce d'un'esecuzione, dalla scelta del tessuto per il proprio trono alle confidenze all'amico migliore in una Casa del Tè, continua a ricostruire l'albero delle sue scelte, alla ricerca di quell'ineludibile errore primo, quello sbaglio da cui discendono tutti gli altri, quel momento in cui tutto sarebbe potuto cambiare. Si rende conto che dentro di lui è radicata la certezza che il solo scoprire quell'errore sarà sufficiente a risolverlo, che il solo pensare un tempo altro lo renderà possibile. Quando troverò la causa, avrò vinto la battaglia - si dice.

Passano le ore.
Un nemico irrompe nella tenda, cacciando un urlo di gioia feroce.
L'Imperatore non lo degna neanche d'uno sguardo: nella sua mente, è nei giardini della residenza estiva, da bambino.
Una farfalla, lieve e coloratissima, si è posata sulle sue mani, e a lui è bastato accostarle per catturarla.
Adesso, la sente sbattere le ali contro il palmo della sua gabbia. 
Sa che ad ogni colpo perderà un po' della polvere dorata che le permette di volare. Vorrebbe aprire le mani, ma si chiede se non sia troppo tardi. 
E se la farfalla fuggisse? Se cadesse a terra, persa per sempre?
Ripete nella sua testa i pensieri di quel momento, come ripassando una poesia mandata a memoria. 
Ricorda di aver chiuso le mani, di aver portato la farfalla alla Casa della Primavera.
Sa che lì e sopravvissuta, nella voliera del Quarto Giardino. 
Sa che quella è stata una scelta giusta.
Sa che non avrebbe potuto fare altrimenti.

Il soldato nemico alza la spada.
L'Imperatore schiude le mani.

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