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Perché raccontare Don Giovanni

Già. Che senso c'ha, insomma, stare a raccontarla n'altra volta sta storia?

L'ha fatto De Molina, l'ha fatto Moliere, l'han fatto Da Ponte con Mozart, l'ha fatto persino Saramago. E adesso anche Baricco. Quel Baricco lì: in una versione per ragazzi edita da Rizzoli, coi bei disegni di Alessandro Maria Nacar. Che racconta "vita pazza e la morte coraggiosa di un uomo che amava troppo le donne per volerne una sola". Una rivisitazione piena di rispetto e garbo, con le giuste citazioni dalle arie più famose ma senza pedissequi plagi.

Ci aggiunge, di suo, Baricco, un bell'epilogo, in sostituzione di quell'altro, quello che - dicono - Mozart fu costretto a mettere. Un epilogo moralista, a sottolineare il fatto che alla fine della storia i cattivi è giusto che sian puniti, se ne vadano all'Inferno, e bonalè.

Baricco l'epilogo invece lo fa diverso, perché, a Baricco, questo personaggio di Don Giovanni piace. Diciamolo.

Che poi, anche a Da Ponte, sicuramente, Don Giovanni piaceva: mentre era lì a scrivere (tra uno squillo del campanellino e l'altro, qualcosa doveva pur fare), si può proprio scommetterci che gli venisse da pensare che questo impenitente manigoldo era proprio simpatico.

E, a voler dirla tutta, sicuramente anche a Mozart questo Don Giovanni piaceva. Che mentre era lì a comporre, tra una risata cavallina e l'altra ('sta cosa delle risate, maledetto Forman), non poteva non trovarlo affine a sé, questo tracotante sbruffone. Tanto da meritarsi il suo Capolavoro.

Anche a Cristina la storia di Don Giovanni piace un sacco. Me la racconta, con la pazienza necessaria agli allievi caproni, in un viaggio in macchina da Firenze, a Venezia, Innsbruck, Salisburgo. Prima ancora di scoprire la scenografia spettacolare dell'allestimento di Claus Guths che sembra uscire dalle foto di Gregory Crewdson, la storia del burlador mi viene magistralmente narrata come una favola nera e affascinante - e con un entusiasmo contagioso, che mi fa venire voglia di metterne le parole accanto ai miei disegni.

Succede che per strada passiamo dallo Zoo Alpino di Innsbruck, e mi ritrovo inusuali modelli per i personaggi (Leporello è - per forza - un Ibis Calvo, il Commendatore non può essere che un corvo, e Masetto uno stambecco - che ha le corna è risaputo). A Salisburgo, una mostra di Max Ernst mi conferma che le teste animali sui corpi umani sono una cosa buona e giusta, almeno tanto quanto Hello Kitty nel catalogo delle dame; non meno appropriata mi appare la Hiropon di Murakami per cantare di un certo unguento...

Errare è umano, perseverare diabolico, e sì, insomma: merita raccontare ancora Don Giovanni. Tanto, perché farlo lo dice Baricco, nell'epilogo di cui sopra: "Perché nelle avventure di Don Giovanni è custodita una domanda che ci sta a cuore, e che non vogliamo dimenticare. La domanda è: siamo colpevoli quando desideriamo qualcosa che fa male agli altri? O i nostri desideri sono sempre innocenti, ed è un nostro diritto cercare di realizzarli? Non è una domanda facile. Puoi passare anche una vita intera a cercare invano la risposta. Io posso dirvi solo questo: se un giorno vi dovesse accadere di trovarla, fatevi vivi."

E se lo dice Baricco.

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