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"Italy Chronicle" design interview

Qualche giorno fa è uscita un'intervista su Studio Kmzero e sulla nostra visione professionale da una città come Firenze periferica rispetto al cuore pulsante del business italiano. Ecco qua una traduzione dell'articolo, pubblicato sul portale di notizie italiane in lingua inglese Italy Chronicles. Grazie mille a Paolo Feroleto e Alex Roe per averci contattati.

A few days ago, I was interviewed about Studio Kmzero and our professional life here in Florence, Italy. Questions weren't so easy to answer, and I hope you'll find the article interesting. Original text here.

Paolo: ciao Debora, puoi dirci qualcosa del tuo studio? Di che tipo di lavori vi occupate?
Debora: Studio Kmzero è stato fondato nel 2002 come luogo per sperimentare nel communication design, disegno tipografico e ricerca visiva. In questi anni ci siamo occupati di progetti di branding e comunicazione su media tradizionali e digitali, con una forte specificità sull'interaction design.
Penso che la nostra ampiezza di area d'azione rifletta, in molti modi, la complessità della scena contemporanea della grafica, che si trova a dover adeguare la classica accezione di design e progettazione tipografica al panorama multidisciplinare creato dalla tecnologia, dai social media e dalla cultura visuale globale.

Com'è composto il vostro staff?
Il nostro studio ha la dimensione snella della design boutique, pur mantenendo sufficienti risorse per poter affrontare progetti per grandi aziende. E quindi, oltre a me e ai miei due soci Francesco Canovaro e Cosimo Lorenzo Pancini, abbiamo tre collaboratori fissi, un tirocinante (abbiamo collaborazioni con referenziati istituti di design), ed un affiatato staff di freelancers, interni ed esterni allo studio, con cui collaboriamo.

Cosa ne pensi del panorama del graphic design italiano contemporaneo?
Questione interessante e spinosa. L'Italia in passato ha potuto contare su dei grandi maestri del graphic design, ma è davvero difficile trovare adesso qualche nome paragonabile per potere creativo e influenza sociale a Munari o Vignelli. Il social networking ha reso possibili connessioni e influenze internazionali, e individuare uno "stile italiano" sembrerebbe arbitrario. Inoltre, un importante cambiamento nella nostra professione è sicuramente dovuto dalla pressione di nuovi modelli di lavoro quali il crowd sourcing o gli spec works.

Ti pare che il design italiano continui a collegarsi con il passato o tragga ispirazione da fuori?
In Giappone artisti e designers sono stati capaci di usare le proprie forme, stili e metodi compositivi tradizionali in composizioni contemporanee di grande effetto. Questo sembra quasi impossibile qui in Italia, dove il patrimonio visuale del passato viene percepito come statico, sacro e intoccabile. Molti designer sono probabilmente più influenzati dallo stile straniero piuttosto che dalla ricchezza visuale del nostro paese. Quello che crediamo è che il grande design in Italia sia riuscito in passato a proporre dei modelli di pensiero innovativi, ma che in questo momento sia come in stand-by, in attesa della scintilla di consapevolezza del nostro potenziale.

Dimmi del fatto che siete a Firenze: non sentite di perdere qualche opportunità, non avendo sede a Milano, riconosciuta come "centro del design"?
Certamente perdiamo l'occasione di tenerci in contatto frequente con molti grandi brand, agenzie e con una bella comunità creativa. Ma l'altra faccia della medaglia è la possibilità di vivere in un ambiente tranquillo, che ci permette di focalizzarci meglio su ciò che vogliamo e sulla nostra filosofia di lavoro (che mette in primo piano la qualità della vita).

Il vostro Studio lavora su diverse discipline del design. Su cosa preferisci lavorare?
La mia preferenza va senz'altro ai progetti di branding. L'opportunità di distillare le molte qualità di un brand in un logo e la sfida di declinare un'identità ai vari media (dalla carta stampata al digitale e ai social) per me rappresenta sempre un trampolino per la creatività. I progetti di branding, poi, ci invitano allo sviluppo di nuovi caratteri tipografici, e quindi è come coniugare due passioni in una.

A quale progetto state lavorando adesso?
Recentemente siamo stati molto presi dallo studio di strategie digitali complete e da campagne di advertising per brand e prodotti, ma tenendo sempre l'attenzione anche su progetti che richiedono grande specificità come il font design.

Quali sono i progetti di cui siete più orgogliosi?
Uno dei punti d'orgoglio per me è la nostra fonderia di caratteri tipografici Zeta Fonts e la nostra produzione di caratteri in stile "web 2.0" come Arista 2.0, Antipasto, Arsenale White e Duepuntozero, che insieme hanno contato oltre due milioni di scaricamenti in tutto il mondo. Mi considero fortunata a lavorare con grandi nomi quali Marchesi Antinori, Condé Nast, Wired Italia, Vogue, e di avere l'opportunità di poter sviluppare progetti sociali e culturali per la Regione Toscana e lo storico Istituto degli Innocenti di Firenze. Infine, sono davvero fiera di considerarmi parte di uno studio informale e accogliente, che può contare su una grande squadra, capace di sfruttare sia le influenze locali che globali.

Che consiglio daresti agli aspiranti designer?
Avere una mentalità aperta, esplorare il mondo quotidianamente e trasformare ciò che si fa in passione. Cercare di trovare il proprio equilibrio tra arte e business, e tenere gli occhi aperti sulle opportunità offerte dai social media (da Linkedin a Behance). E non dimenticare mai di amare ciò che si fa.

Quali caratteristiche pensi che debba avere un bravo designer?
Un buon designer e deve avere l'energia e la curiosità che sono richieste in ogni nuova sfida, oltre alla saggezza e alla tenacia per fare in modo che la propria visione si concretizzi. Un buon designer è qualcuno che conosce la linea di confine fra possibile e impossibile e sa quando è il momento di oltrepassarla.

Chi sono i designer contemporanei che ammiri?
Non ho un solo mentore, ma sicuramente mi reputo una vera fan di Stefan Sagmeister e stimo molto Debbie Millman, Paula Scher, Chipp Kidd ed il nostro amico Jonathan Barnbrook. Ho recentemente incontrato e conosciuto James Victore e Jessica Hische che senz'altro meritano di stare in questa lista.

In quale area del design italiano sei più ottimista?
La moda e il design di prodotto rimangono le discipline italiane più autorevoli in campo internazionale,  ma sono fiduciosa che tra i tanti talentuosi colleghi che abbiamo incontrato ci sia senz'altro qualcuno che capace di plasmare lo stile distintivo del futuro graphic design italiano. Conosco dei bravissimi interaction designer, mentre molti giovani stanno abbracciando uno stile che mixa tipografia, illustrazione e infografica in maniera davvero interessante.

Che obiettivi conti di raggiungere con il tuo Studio nel corso di quest'anno?
Quello che cercheremo di fare è di spingere il nostro core business ancora più vicino al disegno di caratteri tipografici, concentrandoci di più sulle brand identity e meno sullo sviluppo tecnologico a sé stante. Spero di riuscire a pubblicare il nostro nuovo libro "Design Positive" che parla delle lezioni che la vita ci ha insegnato in dieci anni di attività.

Elenca tre cose che ispirano il tuo lavoro

1. l'energia sprigionata dalle conferenze di design
2. incontrare persone con una visione positiva del mondo
3. fare snowboard, correre, usare la mia bici o fare yoga… qualsiasi attività fisica fa bene alla mente!

 

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