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La dura era dei brand…

È stato un inizio d'anno complicato nel mondo della comunicazione visiva. Con sempre maggiore frequenza, stiamo assistendo a episodi che vanno a screditare la nostra professione, e spesso a ragion veduta, visto che si stanno intensificando progetti ad alta visibilità e di bassa qualità visiva.

Hanno aperto i dibattiti i tre video provocatori prodotti da zerovideo lanciando l'hashtag #coglioneNO; la discussione è rimbalzata come in un flipper, cogliendo pareri di tutti i tipi; 

Si sono susseguite le pubblicazioni di diversi loghi dalla qualità discutibile: dal logo del Lazio a quello di Genova, per arrivare all'emblematica vicenda del logo di Firenze (ottima ispirazione per il nostro pesce d'aprile).

Tutti questi episodi hanno in comune alcune caratteristiche:

1. ignorano l'importanza di un processo creativo professionaleInfatti spesso derivano da gare o concorsi a larga partecipazione, in cui manca completamente quella delicata fase del progetto creativo in cui il professionista e il committente si scambiano informazioni e domande reciproche per capire il progetto e le potenzialità del processo.

2. sono risultati visivamente inadeguati; spesso il problema è nel brief approssimativo e scritto dai non addetti ai lavori. Quasi sempre è perché le partecipazioni open, nell'era del photoshop piratato su ogni computer, accolgono sempre più consensi anche da giovani inesperti e grafici improvvisati. A volte le responsabilità arrivano fino alle giurie, che - nauseate dalla massiccia mole di progetti da visionare - perdendo inevitabilmente di vista l'obiettivo.

Gli esiti funesti sono poi potentemente rafforzati da uno strascico di commenti avvelenati della comunità dei creativi. E anche questo è un dato peculiare: la nostra categoria è l'unica che scredita i colleghi con tanta ferocia. Mai visto un comportamento simile tra avvocati, medici o altri professionisti (almeno di fronte a dei potenziali clienti!). Perché intendiamoci: screditare il lavoro di un designer davanti a occhi inesperti non farà altro che diffondere la mancanza di fiducia che i clienti dovrebbero riporre nei nostri confronti.

La base di buon progetto è la stima e la fiducia reciproca tra cliente e committente. Non può esserci un progetto ben riuscito se il cliente non si fida del consulente/designer. Così come non ci potrà essere un risultato vincente se il designer non può fidarsi del proprio cliente, che meglio di tutti conosce il background del brand o del prodotto su cui si andrà a lavorare.

In definitiva, un buon progetto è il frutto di un felice rapporto tra le due parti.

È per questo che noi di Studio Kmzero non abbiamo mai creduto nello spec-working (vedi l'esilarante caso di Hyundai Creative Lab) né tantomeno crediamo nel croudsourcing di larga scala sul modello di Zooppa. 

Condividiamo invece la visione di Aiap e ADCI, che in occasione della presentazione del logo di Firenze abbiamo rappresentato con piacere e che di fatto chiedono come può essere coerente per un'amministrazione pubblica promuovere una gara con partecipazione a titolo gratuito. Ma non dovevamo essere una Repubblica fondata sul lavoro?

 

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